Arte in Atrio

Dal 17 gennaio al 29 marzo 2022, all'interno della rassegna Arte in Atrio, la Fondazione BPL ospita negli spazi della sua sede operativa la mostra ATTILIO MAIOCCHI. RITRATTI E FIGURE Fino al 29 marzo 2022

Arte in Atrio

a cura di Mario Quadraroli e Vittorio Vailati

ATTILIO MAIOCCHI. RITRATTI E FIGURE

La collezione di opere d’arte della Fondazione Banca Popolare di Lodi si è arricchita negli anni grazie alle donazioni da parte degli artisti ospitati negli spazi espositivi di Bipielle Arte e della sede operativa, dapprima con la rassegna Mattonelle d’Artista e in seguito con Arte in Atrio.
Nel 2021 la Fondazione ha ricevuto, parte in donazione e parte in comodato, le opere di Attilio Maiocchi, che erano rimaste di proprietà della famiglia del figlio Giovanni e, in seguito, del nipote Fabio, con l’impegno di valorizzare questa collezione attraverso iniziative culturali ed espositive. Di questa collezione presentiamo una selezione di ritratti e figure con un piccolo omaggio dedicato al maestro di Maiocchi, Ambrogio Alciati.

NOTE BIOGRAFICHE

Attilio Maiocchi (Lodi, 1900-1968), mentre lavora come parrucchiere nel negozio del padre, frequenta una scuola serale di disegno e nell’autunno del 1919 entra a Brera. Conseguiti tutti i corsi comuni, entra nel corso di nudo e, di lì, alla pittura con Antonio Alciati (Vercelli, 1878 – Milano,1929), ritrattista di successo durante la Belle Époque milanese. Da una breve nota autobiografica manoscritta, ricostruiamo gli elementi della sua vena artistica. «Mi sento vicino alla grazia ed ai modi della pittura francese, di quella che si riassume nei nomi di Carrière e Renoir. Per ragioni pratiche negli anni passati avevo finito per trovarmi a mio agio nel campo paesistico dove soprattutto preferisco l’impressione di getto; ma da qualche tempo la mia attività si dedica alla figura ed in particolare al ritratto ed alla natura morta dove colore su colore cerco di nascondere la fatica. Coltivo tutti i generi di pittura con la stessa passione e con lo stesso amore, ho un debole verso il pastello. Lavoro indifferentemente tanto in studio che all’aperto. Nello studio non ho nessun oggetto curioso, solamente mi è cara la fotografia dell’autoritratto, con dedica, dell’Alciati. […] Il dipingere per me è sempre stato un piacere, anche quando il risultato non era quale io lo desideravo; comunque è sempre frutto di spontaneità non calcolata». Attilio Maiocchi

MAIOCCHI NEL RICORDO DEI SUOI CONTEMPORANEI

Attilio Maiocchi è stato un pittore dall’attività intensissima con la realizzazione di oltre duecento ritratti, sia pubblici sia privati e quasi cinquecento paesaggi di tutte le dimensioni. Nel 1978, a dieci anni dalla sua scomparsa, il figlio Giovanni gli dedica un volume curato da Don Luciano Quartieri con le memorie di alcuni amici che avevano apprezzato l’uomo e l’artista durante la sua intensa attività. Ne pubblichiamo alcuni stralci.

Age Bassi

Lodi, ai suoi tempi, era una città vivace sotto ogni aspetto e Maiocchi manifestava questa vivacità, questa voglia di vivere che circolava per la città piccola ma ricchissima di fermenti umani e il collegamento con Milano era tenuto da Maiocchi nel nome della vita e dell’arte; quella Milano dove, a inizio secolo, erano ancora vivi i ricordi della Scapigliatura, dell’ultimo Romanticismo, ma si facevano strada nuove idee tecniche e nuove impostazioni di una attività artistica che Maiocchi ha assorbito e ha fatto sue con una prepotente e prorompente personalità: Brera, la scuola dell’Alciati, la consuetudine affettuosa con i compagni di corso che poi sono diventati amici e con tanti altri che hanno illuminato una città che allora era veramente una delle capitali europee. Se Parigi era la “Ville Lumière”, Milano non era molto arretrata rispetto a Parigi e in questa Milano, così viva e così simpatica, Maiocchi nuotava come un pesce nell’acqua e allo stesso modo era vivo ed attivo nella sua piccola ma estremamente valida Lodi: la Lodi di altri, come Lui, innamorati della vita e dell’arte. La Lodi di Spelta, di Zaninelli, di Archinti, la Lodi che faceva politica, economia, sport, teatro, la Lodi delle liete brigate che sapevano divertirsi con estrema bonomia e con estrema intelligenza e che sapevano trasfondere in validità di vita questa loro voglia di essere al mondo non inutilmente.

Attilio Mattea

Chi seppe intuire la ricca sensibilità e l’attitudine artistica del giovane Maiocchi fu il prof. Francesco Faverzani, che lo convinse e l’aiutò a lasciare il pennello del barbiere per quello del pittore. Maiocchi approdò dunque all’Accademia di Brera, dove fu allievo di Ambrogio Alciati, l’apprezzato ritrattista di tante figure milanesi dell’epoca. […] Come artista non era mai stato schiavo di modi di esprimersi che non fossero quelli congeniali con la Sua sensibilità. Dotato di una emotività che gli permetteva di cogliere prontamente le più delicate e riposte sfumature, trasmetteva alle Sue opere il magistero di una tavolozza cromaticamente ricca ed esaltante. Nei Suoi ritratti non si limitava alla ripresa di un sembiante, ma arrivava ad esprimere e ad evidenziare la personalità del soggetto.

Luciano Quartieri

Fu un onore, per il nostro, che in un ritaglio di tempo lo stesso Alciati posasse per lui; e piacque tanto al maestro lo schizzo che glielo volle firmare in caro ricordo. Era invece sua prassi settimanale – esigita dall’amicizia e dalle necessità economiche – radere la barba a maestri ed amici tra un’ora e l’altra della scuola. Il Premio del Ministero della Pubblica Istruzione, ottenuto con l’approvazione di una qualificata Giuria (Wild, Annigoni, Cazzaniga, Palanti ed, evidentemente, l’Alciati) nel 1927, chiuse egregiamente il suo periodo scolastico, aprendogli la vita. L’opera premiata portava il titolo “Testa di vecchio” e fu acquistata dall’Azienda Elettrica “Ghiaccio, forza, luce” di Lodi. […] Maiocchi ha confessato di attingere a Renoir e Carriére (Eugène, Gour-nay-sur-Seine, 1849 – Parigi, 1906; questi, più insegnante che pittore, ricercava vaporosi fondi velati, che suggestioneranno molto il nostro artista, anche se in momenti alterni) attraverso l’Alciati e il Tallone; ma più Alciati e Tallone che Renoir. Di Cesare Tallone (Savona, 1853 – Milano, 1919), il maggiore rappresentante del paesismo e del ritratto lombardo alla fine dell’800, coglie l’eleganza aristocratica ed un po’ provinciale della società milanese del primo Novecento, la felice sintesi dell’improvvisazione con la profondità del mestiere, sintesi che egli trasfonde in vivide visioni miste di poeticità e di realismo, di racconto storico e di espressione psicologica. Di Ambrogio Alciati (Vercelli, 1878 – Milano, 1929), il suo maestro principale per nove anni di cui sarà allievo “prediletto”, mantiene l’immediata espressività congiunta con la luminosa visione delle cose, quella tipica visione lombarda realistica che si qualifica come post-romantica.

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